Ledda, gli ultimi 4 gol «Vado in America a vendere il “futsal”»

Il bomber ha trascinato l’Avianese ai play-off con un poker Ora una nuova sfida: lanciare i tornei “in gabbia” negli Usa

PORDENONE

Ha detto addio a modo suo: con i gol. Ben 4, stavolta. Sì, perché da oggi Stefano Ledda cambia vita. Anzi, la trasferisce oltreoceano. Il bomber, dopo aver trascinato ai play-off di Seconda l’Avianese, parte stamani per Miami, Florida, dove lo aspetta uno stimolante progetto imprenditoriale: lanciare “la gabbia”. Un altro modo di concepire il calcio: struttura coperta, palla sempre in movimento, tornei tre contro tre. Un movimento che ha già preso piede in Italia. Ledda prova a farla conoscere anche negli States. Aprirà un centro sportivo dimostrativo, con l’idea di vendere il prodotto calcetto agli americani. Un’altra bella sfida per lui. Da vincere, dopo quella già vinta con i campetti di “Goleada”, aperti nel 2003 al confine tra Pordenone e San Quirino e ora vero e proprio punto di riferimento per i sempre più numerosi appassionati del “futsal”.

Ledda, innanzitutto: come l’è venuta in mente questa idea? «Già organizzavo tornei del genere in Italia. Avevo bisogno di nuovi stimoli. Ho cominciato a parlarne un anno fa con Cristian Driussi, figlio dell’ex ds del Torre, che si trova a Miami. Mi ha detto che non esiste una cosa del genere. Ne abbiamo discusso a lungo e dall’idea si è passati alla realtà: abbiamo fondato la Soccer cage Miami».

In cosa consiste il progetto? «Apriremo un centro sportivo in città, nel quartiere business di Miami: la gente lavora, accumula stress. Dopo la giornata, ha voglia di fare sport. Lì mostreremo cos’è questa “gabbia”. L’obiettivo finale è creare una scuola calcio per i bambini».

Ma negli States sono altri gli sport “gettonati”... «In realtà Miami esula dal contesto. E’ un città latina, la gente segue gli sport più “europei”, se vogliamo chiamarli così. Il calcio è seguito, c’è richiesta».

Oggi lascia Pordenone e il calcio locale: un addio o un arrivederci? «Starò a Miami tre mesi, poi tornerò in Italia. Qui ho la mia famiglia, gli amici e la mia attività. Che adesso seguirà il mio socio Mirko Camerin. Nel calcio locale quella di domenica è stata la mia ultima partita. Ma vorrei continuare a giocare a Miami».

Quanto le dispiace lasciare il calcio locale? «Molto. Ho dato tanto e avuto tante soddisfazioni. La promozione in D col Tamai è il ricordo più bello. Ma non dimentico da dove sono partito, la Virtus Roveredo, e dove sono esploso, il Don Bosco».

Com’è arrivato a fare del calcio un business? «Lavoravo nel settore acquisti di un mobilificio. Ma non mi piaceva: lo sport e il calcio sono la mia vita. Sognavo di costruire un centro sportivo. Dal 1998 ho cercato un terreno e un po’ alla volta si è concretizzato tutto. Sto facendo quello che mi piace, e a mio parere questa è una delle più belle soddisfazioni che si possano ottenere nella vita».

Alberto Bertolotto

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