Matteo Lovisa: «I segreti del Pordenone si chiamano lavoro e programmazione»

Ha ventitrè anni, ma parla come un libro stampato riuscendo a evitare qualsiasi “trabocchetto”. Matteo Lovisa, direttore sportivo del Pordenone, è stato ospite della redazione del Messaggero Veneto dove ha parlato a 360 gradi del prodigio neroverde. Prima stagione in serie B e secondo posto alla fine del girone d’andata con la possibilità di giocarsi la massima serie nell’anno del Centenario.
Non succederà, ma se succedesse che aggettivo dovremmo usare? «Fantastico», l’immediata risposta di Matteo che spiega come e perché ha cominciato questa carriera dirigenziale: «Ho giocato nelle giovanili del Pordenone fino alla categoria Allievi, ho smesso perché non avevo qualità per emergere a differenza di mio fratello Alessandro che gioca negli Allievi della Fiorentina».
Ricorda la sua prima operazione in entrata?
«Non vorrei sbagliarmi ma credo sia stata quella di Burrai».
Matteo, siamo in pieno mercato di riparazione. Voi avete poco da ... riparare. Meno toccate il giocattolo e meglio è. Concorda?
«Assolutamente sì. Per quanto riguarda l’operazione Ranieri con la Fiorentina sono ottimista, si tratta di un giocatore che per età e caratteristiche rientra nella nostra filosofia».
Davanti se esce Monachello entrerà un attaccante. Sarà Moreo?
«Questa è una operazione che dipende più dall’Empoli che da noi, quella toscana è una squadra appena scesa dalla A con parametri importanti. Intanto per la prossima stagione abbiamo preso Adam Chrzanowsky, nazionale polacco classe ’99».
Quando ha capito che avrebbe fatto il mestiere di direttore sportivo?
«Nel calcio non c’è niente da capire, bisogna fare risultati più che in qualsiasi altro tipo di mestiere. Poi il lavoro è sempre di squadra e i meriti e i demeriti vanno sempre divisi tra tutte le componenti: società, staff tecnico e squadra».
Lei al Pordenone è legato da un impegno familiare. Pensa un giorno di poter lavorare in un grande club?
«Io al Pordenone lavoro a tempo pieno senza pensare che il presidente è mio padre e con il quale comunque ho un rapporto schietto, diretto. Non sempre abbiamo le stesse idee ma devo dire che lui mi lascia molta autonomia».
È vero che al momento di scegliere l’allenatore nell’estate del 2018 è stato lei a puntare deciso su Tesser?
«Si, perché il Pordenone era reduce da stagioni in cui aveva fatto bene, ma tra fare bene e vincere c’è una grande differenza e noi avevamo bisogno di un tecnico vincente come Attilio».
Come siete ripartiti dal “furto” di Firenze nel 2016 con quel rigore negato nella semifinale con il Parma?
«Semplice: con la programmazione. Le idee alle volte sono giuste, altre sbagliate, l’importante è che alla base ci sia sempre una programmazione. Il primo tassello è stato sicuramente l’allenatore: il modulo 4-3-1-2 che applica Tesser lo trovo molto adatto per il tipo di calciotore che piace a me: fisicità, gamba e qualità».
Dici fisicità e pensi a Strizzolo.
«Luca è il centravanti ideale per la nostra squadra. Forte nel gioco aereo, potente, con buona gamba. Il centravanti, come il portiere, deve sentire la fiducia e giocare sempre. Questo è il suo primo vero anno da titolare».
Dici portiere e il pensiero va subito a Di Gregorio. Doveva fare la riserva, per l’infortunio di un compagno è partito titolare ed è stato il migliore nel girone d’andata. Per lui hanno già bussato all’Inter Parma e Torino.
«Ma a gennaio non si muoverà da Pordenone. E lo stesso discorso vale per Pobega».
A proposito di Pobega, si tratta di un prospetto futuribile per la massima serie?
«Lo considero un giocatore che più salirà di categoria e meglio farà. Lo scorso anno a Terni, di fronte a 10 mila tifosi che fischiavano, lui era quello che giocava con più tranquillità e personalità».
Nell’ultima gara del 2019, quella con la Cremonese, la squadra è apparsa stanca fisicamente, ma ha saputo gestire alla grande il vantaggio. Ecco, questa è una risorsa sorprendente.
«La squadra non fa altro che riflettere le qualità del suo allenatore. Tesser a volte viene scambiato per allenatore di poco carattere perché non urla, ma non serve togliersi la giacca o il cappotto e sbatterli a terra per farsi sentire dei propri giocatori».
Con la Cremonese avevate settemila spettatori allo stadio. Ora con la riapertura della campagna abbonamenti a cosa puntate?
«Non facciamo previsioni. Due anni fa sembrava impossibile riempire il Bottecchia e ci siamo riusciti, speriamo di avere qualche tifoso in più, questo sì».
In serie A avreste spesso il pienone.
«Prossima domanda?».
Lovisa, il momento più bello da ds del Pordenone?
«Beh, non ci sono dubbi: il giorno della promozione in serie B. Siamo sempre stati avanti, ma quel giorno non arrivava mai. In quella squadra si era creata un’alchimia speciale che rivedo anche in questa e chi dice che accade perché il Pordenone ha cambiato poco ricordo che 12 giocatori su 24 sono nuovi».
Da bambino per chi faceva il tifo?
«Per la Juve. Checche se ne dica lo stile Juve è diverso da quello degli altri club».
Se fosse il ds di una squadra da Champions e potesse comprare tre giocatori uno per ruolo chi sceglierebbe?
«In difesa Varane, a centrocampo Pogba, in attacco Messi, il migliore di tutti».
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