Sport a scuola, cultura della fatica, talenti: ecco perché la Slovenia è terra di campioni

epa08683858 Slovenian rider Tadej Pogacar of UAE-Team Emirates wearing the overall leader's yellow jersey before the start of the 21th stage of the Tour de France cycling race over 122 km from Mantes la Jolie to Paris, France, 20 September 2020. EPA/SEBASTIEN NOGIER
epa08683858 Slovenian rider Tadej Pogacar of UAE-Team Emirates wearing the overall leader's yellow jersey before the start of the 21th stage of the Tour de France cycling race over 122 km from Mantes la Jolie to Paris, France, 20 September 2020. EPA/SEBASTIEN NOGIER

«La Slovenia, due milioni di abitanti, è l’unico Paese al mondo in cui il fenomeno del basket Luka Doncic, 21 anni, stella dei Dallas Mavericks, quest’anno non vincerà il premio di miglior sportivo del Paese».

Non servirebbe aggiungere altro a quello che dice Sergio Tavcar, storica voce di TeleCapodistria. Ricordate le indimenticabili dirette delle finali Nba a fine anni ’80 con Dan Peterson, quando la tv della minoranza italiana in Jugoslavia era una sorta di Sky ante litteram?

Tavcar ci guida alla scoperta dei segreti della Slovenia, domenica 20 settembre sul tetto del Tour de France con Tadej Pogacar, oggi 22enne, e Primoz Roglic, il grande battuto, dominatore della corsa fino a sabato e finito secondo.

La vittoria di Pogacar, talenti come Roglic, Doncic, Dragic, Ilicic, Handanovic, per non parlare di Tina Maze regina dello sci fino a pochi anni fa e tanti altri, è anche una grande lezione della piccola Slovenia all’Italia.

Tavcar, la Slovenia sabato 19 settembre si è fermata davanti a quell’incredibile finale di cronometro al Tour.

«Pazzesco. Sembrava una sfida organizzata, che ne so, a Kranj tra due corridori locali, invece era il totem Tour de France».

E così dopo cestisti, calciatori, sciatori, giocatori di hockey su ghiaccio, volley e pallamano, si sono anche scoperti ciclisti?

«Macché. È vero, avere campioni così è una congiuntura astrale, ma in Slovenia tutti vanno in bici, ci sono tante salite per allenarsi. C’è una lunga tradizione che affonda le radici nella Jugoslavia. A Lubiana ultimamente persino le manifestazioni contro il Governo le fanno in bici».

Povero Doncic, stella Nba offuscata da Pogacar.

«Incredibile. Doncic è stato inserito nel quintetto dell’anno in Nba con Lebron, Davis, Harden e Leonard. Quattro americani e uno sloveno e poi c’è il “vecchio” Dragic. Con i Miami Heat sta lottando per andare in finale Nba. E quando segna solo 11 punti, come accaduto l’altra notte, la sua squadra perde...».

Tavcar, perché sono tutti sloveni?

«Cultura sportiva. Mentre a Gorizia e Trieste alla fine dell’800 sotto l’impero austroungarico nascevano le Unioni ginnastica, là nascevano i gruppi Sokoli, associazioni sportive di origine ceca in cui si faceva sport e intanto si aprivano le menti cementando l’amore per la patria».

Qual è ora il ruolo della scuola nella formazione della cultura sportiva in Slovenia?

«Essenziale. La primaria finisce a 14 anni, 8 anni di scuola dell’obbligo in cui l’attività sportiva, di ogni tipo, è parte integrante della didattica. In ogni paese ci sono palestre che assomigliano più ai nostri palasport. Le sfide studentesche tra i vari paesi sono accesissime. Poi, a 14 anni, entrano in scena le società sportive. E a quel punto uno sceglie lo sport in cui è più portato».

Così lo sportivo è più completo...

«Se a basket un coach insegna a un ragazzo a fare un blocco o il tagliafuori o un “dai e vai”, lui lo saprà già perché l’ha visto fare magari alla lezione di pallamano. La multidisciplinarietà è la base di tutto».

Non giri il coltello nella piaga, in Italia non funziona proprio così.

«Lo giro eccome. In Slovenia gli insegnanti sono al centro di tutto, i genitori stanno fuori dalle palestre».

Meglio tornare a Pogacar. Come è stato reclutato?

«Semplice. Lui è di Komenda, piccolo paese vicino a Lubiana. I tecnici della Rog, la squadra storica di Lubiana che prende il nome dalla marca di bici, sono andati nella sua scuola a cercare dei talenti. Hanno fatto dei test e reclutato il fratello Tilen, due anni più di Tadej. Lui li ha avvisati: va bene corro volentieri con voi, ma se volete fare un affare vero dovete prendere il mio fratellino che mi stacca sempre».

Aveva ragione. E di Roglic, il grande sconfitto cosa dice?

«È andato nel panico. All’inizio della salita finale nella crono anche il suo team è andato in tilt. Del resto, la Jumbo Visma era la squadra più forte, ma ha commesso l’errore imperdonabile di non fare di tutto per staccare il ragazzino. Uno che non molla mai, tre anni fa al Giro di Slovenia era juniores e i big come Roglic o Uran non riuscivano a staccarlo. Ma mi dispiace per Roglic, l’ex saltatore con gli sci, è un bravo ragazzo, un atleta serio».

Immaginiamo il tripudio in Slovenia.

«C’è stato un derby tra Trbovije, il paese di Roglic e Komenda, quello di Pogacar. Tifosi nelle piazze, delusione e gioia. Per Parigi sono partiti due charter di tifosi, sulle Alpi avete visto quante bandiere slovene c’erano».

Tavcar, peccato questi talenti siano nati solo a pochi chilometri dall’Italia...

«Ho sempre detto che gli sloveni sono friulani che parlano lo sloveno. Grandi lavoratori, grandi faticatori, 1.200 anni di dominio austroungarico li ha forgiati così». —

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