Vent’anni senza il sorriso di Denis Zanette, il campione buono che amava il prossimo

Il 10 gennaio 2003 la morte improvvisa del professionista sacilese. Silenzio dalle istituzioni e dal mondo del ciclismo

Giacinto Bevilacqua

Vent’anni fa, il 10 gennaio 2003, ci lasciava Denis Zanette. All’uscita dallo studio dentistico di fiducia a Sacile, dove si era concesso una seduta approfittando di una pausa nella preparazione invernale, un maledetto malore gli troncò la vita.

Non aveva ancora 33 anni e lasciava una moglie e due bambine in tenera età. L’autopsia stabilì la causa del decesso: malformazione congenita al miocardio. Lo stesso cuore ballerino che aveva tradito in giovane età suo padre.

Zanette, il “Gigante buono” cresciuto nella Sacilese, era un gregario di punta della Fassa Bortolo, uno dei team più forti al mondo, e per compagni di squadra aveva campioni di calibro assoluto quali Fabio Baldato, Michele Bartoli, Ivan Basso, Wladimir Belli, Francesco Casagrande, Sergey Gonchar, Dimitri Konishev, Alessandro Petacchi.

Professionista dal 1995, aveva indossato anche le maglie di Aki, Vini Caldirola, Team Polti e Liquigas, disputando otto Giri d’Italia, un Tour de France, due Vuelta e un campionato del mondo e collezionando cinque vittorie: la tappa Stradella-Santuario di Vicoforte al Giro nel 1995, la tappa di Quartu Sant’Elena al Giro di Sardegna nel 1996, una tappa al Giro di Portogallo nel 1997, una tappa al Giro di Danimarca nel 2000 e la tappa Lido di Jesolo-Lubiana al Giro d’Italia nel 2001. Nel suo armadietto anche la maglia della classifica a punti del Giro del Portogallo nel 1997 e della Settimana Catalana nel 2001.

Ma di lui si ricordano prima di tutto i grandi occhi buoni e malinconici. Era un operaio del pedale, Denis, uno abituato a fare fatica per gli altri e pronto a raccogliere le briciole che potevano riservargli.

Un operaio anche nella vita: perfino da professionista, nei periodi di riposo agonistico, non disdegnava di aiutare il fratello Claudio nell’impresa di pitture edili. Umile e riservato, Zanette portava negli occhi il dolore per la sofferenza propria e dei meno fortunati.

È una lunga collaborazione quella che lo portò a sostenere la comunità Villa San Francesco di Facen (Belluno) per ragazzi disagiati. “Il bene si fa e non si dice” sosteneva Gino Bartali e Zanette lo seguiva a ruota. Negli occhi anche quella disgraziata giornata alla Vuelta quando il gruppo, lanciato a tutta velocità, travolse un incauto e sfortunato addetto alla sicurezza. A impattare fu proprio Denis.

Dopo la sua morte, si fece a gara per promettere, e qualche volta mantenere, omaggi alla memoria dello sportivo sacilese più famoso della storia. Gli amici, fra i quali il collega Biagio Conte, Mino Pianca e tanti altri ancora, riuscirono a tempi record di imbastire un criterium professionistico che si disputò per qualche anno a Sacile alla presenza di vari assi fra i quali il compianto Davide Rebellin, compagno di squadra alla Liquigas-Pata.

Altre corse per le categorie minori vennero organizzate a Brugnera e a Sacile. E ancora nei locali dell’Ospitale San Gregorio a Sacile è visitabile una mostra permanente di opere d’arte sul ciclismo a lui intitolata. Sempre nell’ex Giardino della Serenissima è possibile passeggiare sul percorso Denis Zanette, itinerario urbano lungo il rio Paisa.

Sono trascorsi vent’anni dall’infausto giorno, e pochi se ne sono ricordati. La famiglia, raccolta nella sua giustificata discrezione, ha partecipato nei giorni scorsi a una cerimonia religiosa di suffragio. E le istituzioni? E il mondo del ciclismo? Sorridi per noi lassù, Denis.

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