Yates: assalto all’Alpe riuscito, ma non alla rosa
Il gemello inglese attacca e vince la tappa, “ragionier” Bernal controlla, Caruso si supera. Sabato ultime montagne
ALPE DI MERA. Simon Yates attacca, forte, a oltre 6 km dall’arrivo all’Alpe di Mera, un balcone meraviglioso con vista sul Monte Rosa. Ma la montagna della maglia rosa non riesce a scalarla abbastanza come avrebbe voluto. Alla fine ha vinto la tappa, ma ha guadagnato “solo” 34” Egan Bernal, che ha controllato da ragioniere, sofferto, ma fatto un altro grande passo verso la vittoria finale.
Due minuti e 49” da amministrare sabato nell’ultimo tappone di montagna, una triangolazione Italia-Svizzera e Italia con finale in Vallespluga su un’altra alpe, quella di Motta, sono ancora tanti. Ma c’è un ma. E a questo il gemellino d’Albione si aggrappa.
Il colombiano ha controllato, non ha risposto agli scatti, come aveva fatto mercoledì a Sega di Ala, ha utilizzato il compagno Daniel Martinez che l’ha pilotato fino a 3 km dalla fine, ma all’ultimo chilometro ha faticato molto perdendo le ruote di un ancor bravissimo Joao Almeida (Deceuninck). A quel cedimento, piccolo, Yates si deve aggrappare se vuole ancora provare a vincere il Giro.
Per ora si accontenta della tappa. «Pensavo a vincere la tappa quando ho attaccato, ho un grande vantaggio da recuperare. È più realistico pensare al secondo posto. Vedremo all’Ape Motta».
Bernal? Non sembra più debordante come a Campo Felice, sugli sterrati di Montalcino o a Cortina ma, grazie a una squadra più forte e alla classe che gli consente di correre col bilancino a soli 24 anni, è riuscito a respingere il primo assalto.
E sabato si va “a casa sua”, perché lui, colombiano di Bogotà di solito sopra i duemila metri va a nozze e il Passo San Bernardino è una lunghissima salita che porta dove l’ossigeno è più rarefatto come sul successiva del Passo dello Spluga. Poi ci saranno i 7 km finali dell’Alpe di Motta, erta non impossibile. Forse pioverà.
«Stavo molto meglio rispetto a mercoledì, ho fatto un’ottima salita, mi sono sentito bene, alla fine è una giornata in meno verso Milano. Yates è il più forte adesso, riproverà ad attaccarmi, ma io sono sostenuto da una grande squadra e per non vanificare gli sforzi dei miei compagni non voglio commettere errori». È sereno il re del Tour 2019. Molto.
Bernal e Yates, in mezzo la speranza d’Italia: Damiano Caruso (Bahrain). Ha perso qualcosa dall’inglese il siciliano, su cui conserva ancora 20” di vantaggio. Pur difendendosi alla grande, ha commesso un errore. Che al traguardo ammette: «Quando Yates è scattato a 6 km dall’arrivo forse non avrei dovuto provare a stargli dietro. Adesso sotto con l’ultima tappa di montagna». Deve reggere, il podio è lì a un passo, il quarto, Alexander Vlasov (Astana) a 6’11”.
Un po’ di appunti finali: in avvio deposta una corona di rose rosa in ricordo delle vittime dell’assurda tragedia della funivie del Mottarone. Per le 14 vittime ed Eitan, il bimbo israeliano unico sopravvissuto, i corridori, come ha annunciato alla partenza Gui Hiv (Israel), unico israeliano in gara, hanno deciso di devolvere tutti i premi in palio nella tappa.
Poi orecchie tirate a Peter Sagan (Bora). È stato multato dalla Giuria per minacce e intimidazioni ad alcuni colleghi all’inizio della tappa di Stradella: non voleva andassero in fuga per perdere punti per la maglia ciclamino.
Ah, c’era tanta gente sulle strade, dai che l’incubo Covid forse è alle spalle davvero. E tra i più acclamati il solito Vincenzo Nibali (Trek). Ha tagliato il traguardo staccato di oltre 5’ da Yates, ma deciso più che mai a portare a termine il suo Giro d’Italia, nonostante la sfortuna che l’ha perseguitato in questa corsa rosa.
«Proverò ad andare in fuga verso l’Alpe di Motta - ha detto – il Giro della Trek Segafredo è negativo, va raddrizzato». Gli chiedono: cosa faresti fossi in Yates? «Una sola cosa: attaccare a fondo». Maledetto il tempo che passa. Ci fosse stato lui... —
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