Carlo Cracco: tuteliamo i prodotti italiani contro la crisi FOTO
![](https://images.messaggeroveneto.it/view/acePublic/alias/contentid/d31591b1-9f7f-48a2-97e0-cad9dcb4a03e/0/image-jpg8270246846969258225jpg.webp?f=16%3A9&w=840)
PORDENONE. La calca, le transenne e le telecamere, poi i fotografi, quelli accreditati e quelli improvvisati, oltre a un imponente servizio d’ordine. Se sono questi i segnali del successo in una società ancora affamata di glamour, ieri pomeriggio c’erano proprio tutti, nell’Arena Electrolux che ha ospitato lo show cooking di Carlo Cracco, chef pluristellato Michelin chiamato a chiudere, a Pordenone, la prima edizione di Cucinare.
Per chi frequenta poco gli show televisivi dedicati al mondo del food va detto che forse più di altri Carlo Cracco impersona quel giusto compromesso fra un personaggio dello spettacolo, è una star di MasterChef, e un uomo che vive dell’abilità di quanto sa fare.
Riservato quanto basta, misurato nel modo di parlare, mai sopra le righe e senza scivolare nell’ammaliante bagliore dello star system, Cracco ha una biografia important, che comicia dalla collaborazione con Gualtiero Marchesi e arriva fino al suo ristorante a Milano.
«Sono sempre stato curioso, ho iniziato come tanti, prima la scuola, poi un grande ristorante da 250 coperti. Molto utile, ma sentivo di avere bisogno di qualcosa in più. Poi ce l’avevo un po’ dentro la voglia di viaggiare, grazie a mio padre ferroviere, ce ne andavamo in giro e mi piaceva scoprire, assaggiare i sapori dei posti che visitavo».
– Il risotto che ha proposto a Pordenone sembra molto particolare...
«È un risotto alle lenticchie, un piatto che valorizza sapori semplici. In fondo la mia idea di cucina è quella che valorizza l’alimento che si sta servendo, piuttosto che fare qualcosa per pochi».
– Quali sono i passaggi fondamentali?
«Abbiamo preparato una farina di lenticchie, ho usato quelle di Colfiorito che sono molto profumate. Tostate a lungo e poi frullate finemente, danno una farina impalpabile. La si aggiunge a un semplice risotto, magari mantecato con l’amido, piuttosto che con i grassi come si fa di solito, per dare più risalto al profumo e far emergere il sapore delle lenticchie e il piatto è pronto».
– È quasi d’obbligo un riferimento alla crisi, una situazione che coinvolge anche il mondo della ristorazione, come si può migliorare?
«Il problema è complesso, anche sul piano normativo, e certo non può essere un cuoco a occuparsi degli aspetti normativi, però ci vorrebbero leggi uguali per tutti. In Francia, per esempio, è stata data la possibilità ai ristoratori di scegliere fra un’Iva al 9 o al 6%. Da noi l’hanno aumentata. Ci vorrebbe maggior consapevolezza del patrimonio che abbiamo. Pensi che solo il 5% del Parmigiano Reggiano venduto nel mondo è fatto in Italia, il resto è contraffatto, si immagini quanti posti di lavoro che si creerebbero se non fosse così. È così per molti prodotti italiani».
– C’è un filo pordenonese nella sua biografia?
«Sì, da parte di mio padre, la sua famiglia è originaria di Vicenza, ma aveva legami qui a Pordenone e veniva spesso».
Infatti, tra il pubblico si fa avanti una sua cugina, Alessandra Schiavo, è di Azzano Decimo, una foto, poi l’autografo... «I nostri nonni erano fratelli», dice frenando a stento l’emozione. E anche questo è un segnale, intimo, del successo.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto