«Dietro le quinte dei misteri italiani»
UDINE. Si sfogliano tomi e celluloide in un sincronismo storico universitario. Interpretazioni di verità. Poche svelate, si prosegue annaspando. I misteri d’Italia restano inamovibili nella loro beffarda interezza. Minime scalfiture, nei decenni, il nascosto è solido e chi sa non canta. Il cinema si piglia a volte licenze. Osa, immagina.
L’ha sempre fatto e qualche volta ci ha pure pigliato. Magari frammenti buttati dentro, giusto per lasciare tracce. Se qualcuno le raccoglie, tanto meglio. Ed ecco lo sposalizio. Accademico, diremmo. Storia e cinematografo sotto il tetto comune dell’ateneo udinese.
Il professor Umberto Sereni (docente di Storia contemporanea) aggiunge un . rinforzino ai libri e, per questo, ha allestito un festival con una raccolta preziosa. Individuando subito i due poli temporali – Salvatore Giuliano di Francesco Rosi occupa il vertice basso (la targa è il 1961), mentre Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (2012) quello alto – si coglie perfettamente il senso della rassegna: «Spingersi in un dietro le quinte, spiega Sereni, individuare le chiavi interpretative.
Il muro di gomma di Risi già vent’anni fa individuò parametri, poi confermati nei lustri successivi». Il cartellone non ha ancora il timbro dell’ufficialità, ma c’è una traccia sicura sulla quale muoversi. Sarà il lunedì il giorno deputato alla proiezione e il primo utile è il 4 marzo. «Giusto per uscire dal blocco elettorale», precisa Sereni. Basta raggiungere la sala convegni di palazzo Antonini entro le 17. «Apriremo le porte a tutti».
Scorreranno titoli con suoni familiari, risucchiati da annate sparse e racchiuse in un cinquantennio. Si prende la rincorsa dal bandito dei banditi, il siciliano Giuliano trovato morto nel 1950 a Castelvetrano. Rosi, il grande napoletano che inventò il film-inchiesta, raggiunge il capolavoro inserendosi fra le cento pellicole italiane da salvare. Risalendo le epoche si sbatte il muso su Il caso Mattei, e la firma è la stessa. Unisce rigore, cronaca e ricostruzione documentaria sulla vita dell’italiano più potente dopo Giulio Cesare.
E giungiamo al ’73 con Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli – con Ugo Tognazzi – sullo sfondo del golpe Borghese e delle trame nere. Altro grigiore nazional-popolare in emersione. Raggiungiamo il 1997 e Le mani forti di Franco Bernini con l’accoppiata naturale Amendola-Neri. Si staglia uno strano asse Bosnia-strage di Brescia, con un sottofondo di spie. «Le mani forti sono invisibili e ancor più invisibili le teste di chi le manovra».
E che dire dell’Eroe borghese di Michele Placido tessuto con una tragedia milanese dove fluttuano Sindona, mafia, Vaticano e persino l’imprendibile Giulio Andreotti? È Marco Tullio Giordana a ripescare nel torbido l’ennesimo buco nero dove qualunque voce è stata inghiottita. Ma qualcosa si rivela. Eppure il popolo non ha fatto code al Romanzo di una strage. Voglia di rimuovere? Sarebbe un errore grave. Significa vittoria del Male.
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