«Il comandante è morto»: commozione a Torlano FOTO
NIMIS. Quest’anno Federico Vincenti, nome di battaglia Riki, non c’era a Torlano, alla commemorazione per l’eccidio di 33 civili, tra cui molte donne e bambini, compiuto il 25 agosto 1944 dai nazifascisti.
Il presidente dell’Anpi (che era chiamato anche “il comandante”) non era mai mancato, anche quando le condizioni di salute non erano delle migliori. Vincenti si è spento l’altra sera e ieri mattina, prima della cerimonia in cimitero, preceduta dalla messa di suffragio celebrata dall’arciprete di Nimis, monsignor Rizieri De Tina, si è diffusa la tristissima notizia della sua scomparsa tra i presenti.
Unanimi le manifestazioni di cordoglio e dolore, in primis quella di Bruno Fabretti, 90 anni il 15 settembre, ex deportato nei lager nazisti dopo l’incendio di Nimis che avvenne a poco più di un mese dalla strage. Della “vecchia guardia”, c’era soltanto Luciano Rapotez e per l’Anpi, oltre a una rappresentanza di Portogruaro (località da cui proveniva la famiglia De Bortoli decimata nell’eccidio), erano presenti anche i presidenti di Tarcento, Romeo Vidoni, e di Tricesimo, Gianni Felice.
Una cerimonia sentita, nella quale si è appunto avvertita forte l’assenza di Vincenti, e unita da un filo rosso: la volontà di non ridurla a un mero momento celebrativo, ma di farla diventare un momento forte di testimonianza, senza retorica, in modo tale che le nuove generazioni possano comprendere, al di là dei conflitti, da che parte stava la ragione e da quale le responsabilità.
Sotto una pioggia battente, prima dei discorsi ufficiali in cimitero, accanto al sacello delle vittime, c’è stata la benedizione impartita dal parroco. Quindi hanno preso la parola i sindaci di Portogruaro, Antonio Bertoncello, e di Nimis, Walter Tosolini.
Le tragiche pagine dell’eccidio e i nomi dei 33 morti innocenti sono stati poi letti dall’assessore Domenico Comelli. Bertoncello, oltre a motivare la propria presenza a nome della comunità di Portogruaro, un dovere verso le vittime e legame indissolubile tra il paese friulano e la città veneta, ha guardato alla tragedia di 69 anni fa, proponendo un legame con quanto sta avvenendo ora in Siria ed evidenziando la necessità di mantenere il ricordo del passato per progettare il futuro.
Il primo cittadino di Nimis, rimarcando come la cerimonia non voglia essere «il perpetrarsi di una rivalsa» ma di una memoria, oltre a focalizzare l’attenzione sulla situazione della Pedemontana dal settembre ’43, ha guardato al presente con un forte monito: «Chiediamo di non rendere inefficace quello che è stato costruito». Questo dopo avere ricordato che alcune delle vittime erano venute in Friuli per il lavoro in quanto lavoro e libertà, ha sottolineato, sono sempre legati.
«Un’analisi sull’attuale crisi economica – ha aggiunto - deve renderci consapevoli che la perdita generalizzata del lavoro può mettere in difficoltà la democrazia e la Costituzione, perché in una democrazia queste sono strettamente connesse».
Cerimonia per riflettere, dunque, alla quale, oltre ai due sopravvissuti della famiglia De Bortoli - Gina (fuggita dalla stalla in fiamme dove aveva cercato rifugio con i familiari) e Gianpaolo (salvato dalla madre che gli fece scudo) - hanno assistito l’assessore di Udine, Federico Pirone, e l’assessore provinciale Leonardo Barberio, accanto a rappresentanti di associazioni combattentistiche.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto