Il giro delle tre Venezie/3 Dal Cellina alle retrovie della Grande Guerra

Il Friuli visto dagli Psicoatleti: Pordenone, Spilimbergo, Udine e Palmanova. Gli austriaci nell’ex capitale della guerra dopo Caporetto: soldati e civili in fuga

Entrare a Pordenone ascoltando le storie di un giovane originario del posto è incomparabilmente più interessante che leggere un opuscolo informativo: niente contese fra gli Asburgo e la Serenissima, nelle sue parole, né antichi orgogli di campanile, quasi inevitabili in altre città da cinquantamila abitanti.

Il racconto, infatti, comincia da tempi recentissimi, appena dopo la seconda guerra, quando i nonni del giovanotto si trasferirono qui dal Trevigiano, lieti di abbandonare una vita da braccianti per inurbarsi, e trasformarsi in operai nel nascente settore degli elettrodomestici da cucina.

Sono tante, le famiglie di qui che hanno una storia simile, ed erano arrivate da pochi anni quando l’antico Portus Naonis fu eretto – era il fatidico 1968 – capoluogo di una nuova entità amministrativa, ricavata separando la Destra Tagliamento dall’estesissima provincia di Udine. Cagione di orgoglio, qui, non è tanto sentirsi pordenonesi, quanto il sentimento dell’essere friulani.

Dall’aggraziato centro di Sacile a qui, abbiamo avvistato innumerevoli bandiere azzurre con l’aquila dorata sventolare sui campi di questa terra sassosa, dura da coltivare e lambita dalle prime propaggini delle montagne.

Sono cambiate anche le case di campagna, che qui vantano meridiane e affreschi esterni ispirati alla faticosa vita degli avi e, indubbiamente, è cambiata la lingua. La novità più stupefacente, tuttavia, riguarda lo scenario naturale nel quale si svolge la marcia: se al mattino, veniamo assordati a intermittenza dal volo dei caccia che si levano a coppie dalla pista di Aviano, verso mezzodì ci ritroviamo sull’ampio greto, deserto d’acqua e rumori, del torrente Cellina.

Il sassoso regno dei Magredi si offre oggi come la migliore via da seguire per evitare il traffico meccanizzato, ma richiede il suo tributo sotto forma di fatica e sete: il passo è malsicuro sulle ghiaie, che a metà giornata sembrano promanare un vapore caldo, e un chilometro in questo regno senz’ombra costa caro quanto tre o quattro sulla terra battuta. I più esperti fra i miei compagni Psicoatleti sostengono che l’unico luogo altrettanto faticoso da traversare sarebbero le bianche rupi delle colline di Giudea, a una giornata a piedi da Gerusalemme.

Traversati i campi dove dimorano a migliaia le barbatelle, Spilimbergo appare come un rifugio rassicurante, e i suoi portici all’imbrunire sono trafficati persino da giovani, una categoria che non avevamo incrociato per tutta la giornata. Domani è festa, e i ragazzi vanno a brindare nei locali sotto i portici di Corso Roma che, risorto dalle devastazioni del sisma del 1976, sembra tornato ai fasti del tempo in cui i mercanti di stoffe affollavano la Loggia della Macia.

Ancora un giorno, e siamo a Udine, prima fra le città del Friuli e sede del comando di Cadorna fra il ’15 e il ’17. Dopo lo sfondamento di Caporetto, però, quella ch’era stata rinominata “capitale di guerra” venne frettolosamente abbandonata in mano nemica. I reggimenti facevano la coda per varcare i ponti, inseguiti da frotte di profughi civili e, nel gigantesco imbottigliamento che si era formato intorno a Casarsa, gli austriaci fecero prigionieri in un sol giorno sessantamila militari e trecento cannoni.

Anche la maggioranza degli sfollati friulani cadde in mano al nemico, e non meno ingrato fu il destino della minoranza che riuscì a mettersi in salvo sulla sponda destra del Piave: finirono dispersi nelle più disparate regioni italiane e, poiché avevano perso tutto e godevano degli indispensabili aiuti di Stato, talora furono indegnamente trattati dalla popolazione locale come mantenuti e profittatori.

Solo la loro, doppia, tragedia rende l’idea di cosa significasse, allora, essere considerati “gente di frontiera”: per i poveri, al di là di ogni proclama patriottico, equivaleva a una cittadinanza di serie B.

Saldamente in A, invece, gioca la gloriosa Udinese calcio e, lungo le strade di campagna che menano alle mura stellate di Palmanova, non manca in nessun bar la maglia incorniciata di Totò Di Natale, il napoletano che fa battere più forte il vecchio cuore furlan.

(3. Continua)

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