Il Natale della rinascita: Vajont compie 50 anni
VAJONT. Cinquant’anni fa veniva posata la prima pietra nel comune di Vajont, nuovo paese nato a pochi passi da Maniago dopo il disastro del 9 ottobre 1963.
Ad aprire quell’importante capitolo per gli erto-cassanesi, strappati dalla propria terra, dai ricordi e legami più stretti, c’era anche Giovanni Corona “Bocia”, allora sindaco di Erto, poi nominato commissario per la ricostruzione.
A mezzo secolo di distanza, a guidare il nuovo municipio di Vajont è Lavinia Corona, nipote di Giovanni. Sarà lei a dare avvio alla cerimonia alle 17 di oggi, in Comune, per ricordare quel momento scolpito nella memoria chi l’ha vissuto.
«Mio nonno ha assistito alla posa della prima pietra per la costruzione del paese dal punto di vista edilizio: io vorrei che oggi si posasse la prima pietra di una comunità rinnovata e unita – il messaggio di Corona –. Oggi festeggiamo il Vajont di domani, nel ricordo di quello che è stato ieri. Oggi è la festa del paese e della sua comunità, amministrata da una giunta giovane, che guarda con fiducia al futuro».
Quella di oggi sarà una cerimonia toccante anche per il primo cittadino, anche alla luce del legame familiare. Corona ha scelto di aprire il suo discorso con le parole che il nonno ha pronunciato cinquant’anni fa.
Giovanni aveva definito la giornata del 28 dicembre 1966 come «il Natale della ricostruzione. La manifestazione odierna rimarrà negli annali della nostra storia e in quella del Friuli e dell’Italia. Quanti ci hanno fatto del bene rimarranno nei nostri cuori e nelle nostre menti perché ci hanno aiutato a innalzare un monumento che sarà granitico come le piramidi, duraturo come il bronzo».
Oggi queste parole riecheggeranno nella sala consiliare, pronunciate dalla nipote, che indosserà la fascia tricolore che anche il nonno ha portato. Quel nonno che non ha mai conosciuto, se non attraverso i racconti della mamma e i ritratti sulle pagine dei libri scritti da chi ha voluto onorarne la memoria.
«Mi sembra giusto partire dalle sue parole – ha detto il sindaco –, per poi spaziare su quelli che sono stati altri momenti salienti della storia che ci ha portato sino a qui. Non voglio che questa scelta sia letta solamente come un omaggio a mio nonno, ma come la volontà di onorare la memoria delle vittime del disastro e di quanti cinquant’anni fa erano presenti a quel momento che ha sancito la nascita di un nuovo percorso».
Il sindaco leggerà anche della pergamena del nuovo paese di Vajont: un documento che è stato posto all’interno di un pezzo di marmo rosso e interrato nelle fondamenta della prima abitazione del piccolo comune, in occasione della cerimonia per la posa della prima pietra.
«Oggi, 28 dicembre 1966, gettiamo le fondamenta della ricostruzione, con la posa della prima pietra», si legge sulla pergamena. La prima abitazione vajontina, in via San Martino 19, era stata assegnata a Orazio Della Putta: oggi è abitata da una giovane coppia. Altre due case del paese, quelle dei fratelli De Lorenzi, sono state realizzate a inizio 1967.
Un anno e mezzo dopo, il 9 luglio 1968, si sono trasferite a Vajont alcune famiglie. A ottobre dello stesso anno gli abitanti erano 200 e occupavano complessivamente 50 case. A metà novembre i residenti sono arrivati a 250: 66 i nuclei familiari. In tre anni si è passati a circa mille unità (i residenti attuali sono 1.730)
«La ricostruzione è stata rapida – ha ricordato Corona –. A inizio anni Settanta si era già quasi a regime».
Con l’inizio dei lavori di realizzazione del nuovo paese anche i servizi hanno subito una ripresa: tra questi le scuole. Il 1º ottobre 1968 sono state aperte le elementari. Le lezioni non si tenevano in un istituto, ma in una casa privata, in via Mulini 21, sotto la sede provvisoria del municipio.
Due maestre insegnavano a 35 bambini, numero che in poco tempo è aumentato. Accanto alle nuove case sono in seguito sorte due vere scuole.
Gli erto-cassanesi lentamente hanno iniziato a prendere contatto con una nuova terra. Non era più il paese di prima, anche se i nomi delle strade ricordavano vie e località note e amate.
Negli occhi degli anziani si leggevano tristezza e un po’ di disagio, nei giovani la voglia di scrivere un nuovo capitolo della propria esistenza e scoprire il volto di quella nuova terra, diventata la loro.
Oggi è tempo di riavvolgere il nastro dei ricordi e tuffarsi in quel passato fatto sì di distruzione, ma anche di rinascita.
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