Malghe di Porzûs: braccio di ferro tra Regione e Provincia

Bloccato il progetto dei partigiani della Osoppo. «La polemica non onora le vittime dell’eccidio»
Attimis 22 gennaio 2015. Malghe eccidio di Porzus. © Petrussi Foto Press / Diego Petrussi
Attimis 22 gennaio 2015. Malghe eccidio di Porzus. © Petrussi Foto Press / Diego Petrussi

UDINE. «Le malghe di Porzûs non devono finire al centro di una battaglia politica». Lo chiede l’Associazione partigiani Osoppo (Apo) con in testa Paola Del Din, medaglia d’oro al valor militare, per tentare di placare la contrapposizione tra Regione e Provincia dove è rimasto imbrigliato il luogo della memoria.

In ballo c’è un ricorso al Tar presentato dalla Provincia per chiedere l’annullamento della delibera con la quale la Regione ha disposto il trasferimento dell’immobile tra le sue proprietà. Un trasferimento previsto dall’eliminazione delle Province.

Una storia spiacevole che cozza con la volontà dell’Apo di tramandare alle nuove generazioni al storia della guerra di Liberazione anche attraverso le malghe, scenario il 7 febbraio 1945 di uno degli eccidi più efferati della Resistenza. Qui i gappisti uccisero 17 partigiani della brigata Osoppo.

Ora però la storia da raccontare è un’altra e più recente. Inizia nel 1984 quando l’allora presidente dell’Apo, Giorgio Zardi, decise di trasferire la proprietà delle malghe alla Provincia, la quale impegnandosi a conservarle, le classificò come bene culturale.

A scombussolare questo equilibrio è stata la riforma che eliminando le Province prevede il trasferimento alla Regione dei beni di valenza culturali. Dal 2010, infatti, le malghe sono monumento nazionale. Su quest’ultimo aspetto la Provincia non discute.

L’amministrazione di palazzo Belgrado rifiuta di doversi privare prima della fine del mandato dell’immobile. A sostegno della sua tesi, il presidente, Pietro Fontanini, ricorda che l’Apo, nei mesi scorsi, ha chiesto di rientrare in possesso delle malghe, attraverso un contratto di comodato d’uso. L’iter è partito con l’approvazione, all’unanimità, del consiglio provinciale. Da qui il ricorso al Tar, sul quale il tribunale amministrativo di Trieste non si ancora espresso.

Trovandosi in mezzo a una “guerra” tra istituzioni, l’Apo prende le distanze, limitandosi a ricordare alla Regione, alla quale ha inviato una sorta di dossier, di avere in mano il progetto per l’installazione nelle malghe di un pannello illustrativo realizzato per spiegare a chi non c’era il contesto in cui ha avuto luogo l’eccidio. «Il progetto - sottolinea il presidente Roberto Volpetti - ha ricevuto il finanziamento della Provincia e della Presidenza del consiglio dei ministri, ed è già stato approvato dalla Soprintendenza alle belle arti».

Questo per dire che i partigiani della Osoppo non vogliono entrare nel merito del ricorso, sul quale sarà la magistratura a stabilire chi è il proprietario delle malghe. Volpetti si limita a confidare che «attuali e futuri proprietari non interrompano il lavoro avviato, scongiurando che questo sia travolto da una polemica che non fa onore alle vittime e alla loro memoria».

Quello dell’Apo è un appello accorato a tutela di una pagina di storia troppe volte al centro del dibattito politico. Il suo obiettivo resta quello di non interrompere anni di collaborazione istituzionale rafforzata nel 2012, con la visita dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

L’appello dell’Apo è giunto anche a Trieste dove, al momento, non si registrano prese di posizione. Tutti attendono il pronunciamento del Tar per sciogliere poi gli eventuali nodi amministrativi.

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