Morto Bepi Zanfron, raccontò con le foto il disastro del Vajont

Aveva 84 anni. Raggiunse tra i primi i luoghi del dramma. I suoi scatti, utilizzati al processo, fecero il giro del mondo

ERTO E CASSO. Si è spento a Belluno all’età di 84 anni Giuseppe Zanfron, per tutti Bepi. La notizia ha destato vasta commozione anche a Erto e Casso dove il fotografo era conosciutissimo e apprezzato. Fu infatti uno dei primi a giungere sui luoghi della tragedia del 9 ottobre 1963 e a scattare delle immagini dell’accaduto. I suoi scatti fecero il giro del mondo e già l’indomani alcuni quotidiani nazionali aprirono delle edizioni speciali usando queste foto.

La sua vicinanza ai territori devastati dall’onda è sempre stata molto intensa tanto che ieri il giornalista è stato salutato dall’attuale sindaco di Erto e Casso Fernando Carrara e dal suo predecessore Luciano Pezzin. La sua opera non si limitò alla sola fase dell’emergenza: per anni Zanfron salì in Val Vajont per testimoniare con la propria macchina come stesse procedendo la ricostruzione delle aree colpite. Non mancò a un anniversario, facendosi apprezzare a tal punto dalla gente che ieri lo stesso governatore del Veneto, Luca Zaia, ha voluto commentare la sua morte. «Addio ad un poeta dell’immagine e della cronaca», ha detto.

Commovente la rievocazione che il fotografo era solito fare degli istanti successivi alla frana del monte Toc. Il reporter si trovava in piazza a Belluno quando la luce pubblica si spense. In tanti guardarono alle montagne del Vajont, da giorni sulla bocca di tutti per l’imminente frana. I vigili del fuoco minimizzarono, parlando di una tubatura rotta, ma Bepi era già in viaggio in direzione di Longarone.

«Nessuno veniva nel senso opposto e si vedeva a malapena a causa di una sorta di cappa di umidità – raccontava il professionista –. A Fortogna la strada era sbarrata e i pompieri riferirono di alcuni morti a causa della famosa perdita d’acqua. In realtà, camminando per qualche metro, nel buio pesto, si poteva ipotizzare che era capitato qualcosa di ben più grave. Inciampammo immediatamente sul primo cadavere, era di una ragazza. La prime fotografie le scattai con il flash in mezzo alla notte e ad un silenzio surreale. Solo all’alba vedemmo di fronte a noi la devastazione: Longarone non c’era più».

La mattina del 10 ottobre le persone facevano fatica a comprendere. «Una giovane fu ricoverata a Pieve di Cadore e chi la vide parlò di un brutale pestaggio perché la portata degli eventi era troppo grande per essere metabolizzata sul momento», raccontava Zanfron. Per molto tempo il reporter fece la spola, anche più volte al giorno, tra le zone del Vajont e la camera oscura dove sviluppava le lastre. A Zanfron spettò pure l’ingrato compito di immortalare le prime salme recuperate dai soccorritori. L’uomo fu poi avvicinato da decine di parenti che chiedevano delle copie, unico ricordo dei loro cari. «Ma rullini e documenti furono sequestrati dagli inquirenti come prove processuali e non potei accontentarli», si era più volte rammaricato.

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