Nel Pordenonese bulli più precoci e aggressivi con il web
PORDENONE. L’aggressione, molto più psicologica che verbale, avviene in ambiente che dovrebbe essere protetto: nei corridoi della scuola o in cortile, in classe. E non perché gli insegnanti non siano vigili, ma perché i bulli sanno che possono agire indisturbati.
Alla domanda: «Che cosa hanno fatto i tuoi compagni quando qualcuno fa il bullo?», molti hanno risposto che «Fanno finta di niente». Se poi a 11 anni smartphone e internet sono quotidianità per i ragazzi, il bullismo diventa più frequentemente cyberbullismo. Un fenomeno che entra a scuola sempre prima, già alla primaria, e che non cresce tanto nei numeri quanto nella “qualità” negativa dei suoi effetti.
Il fenomeno. Lo studio collegato al progetto sul bullismo promosso dal Comune di Pordenone e che ha portato ad analizzare le risposte di 654 ragazzini di prima media in sette istituti – i questionari hanno rilevato il periodo tra ottobre e febbraio – che frequentano le scuole di Pordenone e Roveredo, hanno permesso di registrare che il 14 per cento degli intervistati è stato vittima di bullismo (94 ragazzi) e il 27 (183) per cento ha assistito a episodi di bullismo.
Poco meno del 19 per cento (118 ragazzi) dice di aver compiuto atti di bullismo, considerando la derisione e denigrazione il principale atto di bullismo. «In generale possiamo dire che nel vostro territorio il fenomeno si attesa sul 15 per cento» ha sintetizzato Daniele Fedeli, psicologo, ricercatore e docente dell’Università di Udine che ha coordinato lo studio e che lo ha presentato con il comandante della polizia locale Stefano Rossi.
Cyberbullismo. Un dato che tende a elevarsi se si tratta di cyberbullismo. In queste situazioni, infatti, il 34 per cento (dato nazionale, ben più basso tra gli intervistati) non denuncia quanto subito. E rispetto a questo fenomeno il consiglio è stato chiaro: «I ragazzi intervistati usano chat e telefonini normalmente. Ma ci sono età per tutto: magari si può dire ai nonni che alla prima Comunione non serve regalare il telefonino».
La vittima. Più che sul bullo Fedeli ha invitato a concentrarsi sulla vittima che viene isolata perché «viene considerata debole»: uno su tre, più di 200 ragazzi intervistati. Non solo, chi ha subito atti di bullismo e che dichiara di essere stato zitto, in un caso su due lo ha fatto perché aveva paura di sembrare debole e di essere preso in giro dai compagni. C’è anche chi, 32 ragazzi, pensa che la vittima se la sia cercata.
La vergogna. Un altro dato, che riguarda la vittima e che secondo Fedeli è la chiave di volta per affrontare correttamente il problema, è quello per cui il 39 per cento dei ragazzi vittime di bullismo, «possiamo dire poco meno della metà delle vittime», prova vergogna. Un sentimento che è l’anticamera dell’isolamento.
Il gruppo. A insegnanti e genitori il consiglio Fedeli a consigliato di «non concentrarsi sul bullo bensì sul gruppo» affinché il gruppo sviluppi gli anticorpi e impari a difendere, a prendersi cura delle persone più deboli. «Ci sono studi che oggi ci aiutano a individuare i pre requisiti delle vittime e a lavorare anche su quelli. I bulli sono come le leonesse che, quando vanno a caccia – ha detto Fedeli – scelgono le prede più deboli, le isolano e colpiscono. Gli elefanti, invece, si muovono in branco e mettono gli animali più piccoli o più deboli in mezzo al branco. Dobbiamo arrivare a questo».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto