Orate e branzini come quelli pescati negli allevamenti di Duino e Grado
Molti giurano di riconoscerlo al palato, altri dalla forma, i più esperti dalla compattezza delle carni. Distinguere un pesce che proviene da allevamento da uno pescato non è semplice. Se le proprietà nutritive sono del tutto assimilabili – entrambi consentono di fare provvista di proteine, vitamine e soprattutto omega 3 –, fermandoci a una questione di sapore, ci si chiede se i due prodotti siano uguali. La risposta è “dipende”, a detta di molti esperti e pure degli addetti ai lavori. Dipende in particolare da dove è stato allevato e dove è stato pescato perché il pesce assorbe tutto quello che trova nel mare.
«Autorevoli studi scientifici confermano che se l’allevamento è condotto secondo regole precise, che riguardano essenzialmente l’alimentazione e la densità, non ci sono praticamente differenze tra i due prodotti – assicura la dottoressa Valentina Tepedino, autrice di libri e di pubblicazioni scientifiche, responsabile nazionale della Società Scientifica di medicina Veterinaria Preventiva per i prodotti ittici –. Nemmeno un gourmet riconosce un’orata pescata e una allevata in mare aperto, in vasche dove c’è una corrente naturale e alimentata correttamente. Il valore nutrizionale e i controlli igienico sanitari sono gli stessi e bisogna sfatare i falsi miti come l’utilizzo di ormoni o antibiotici in allevamento.
Se questi ultimi vengono somministrati, le regole sono davvero ferree, a partire dai cosiddetti tempi di sospensione. Va sottolineato che è antieconomico per l’allevatore utilizzare antibiotici».
L’ultimo decennio ha visto aumentare nettamente il consumo di pesce in Italia e nel mondo, una richiesta alla quale non sarebbe stato possibile far fronte se non facendo ricorso all’itticoltura. Quindi, conferma la dottoressa Tepedino, consumare pesce di allevamento diventa una questione democratica. L’acquacultura, per questi motivi, è la scommessa del futuro. Quello su cui si punta è il miglioramento del benessere animale, il rispetto dell’ambiente (tema che conta a maggior ragione nell’Alto Adriatico e nel nostro Golfo) e la qualità dei mangimi che, negli allevamenti di punta sono soprattutto di origine vegetale con le microalghe che sostituiscono le farine animali.
Qui in Friuli Venezia Giulia, dove c’è disponibilità di pesce pescato nostrano e ampia scelta di pesce d’allevamento per la presenza di molte aziende produttrici nell’Alto Adriatico, è interessante sapere che la differenza non viene determinata dal paese di produzione ma dal singolo produttore e dai metodi che utilizza, dato che il consumatore si affida generalmente all’insegna e al pescivendolo di fiducia.
Si rivolge alla grande distribuzione l’azienda Ca’ Zuliani che alleva a Duino orate e branzini nelle vasche al largo della costa proprio davanti al castello. I pesci che finiscono sui banchi di Coop, Cadoro e Esselunga, dalle 200 alle 300 tonnellate annue, sono sottoposti a controlli molto stretti che vanno dalla qualità dell’alimentazione alla densità dell’allevamento grazie a protocolli imposti proprio dalle catene distributive. Molti dei pesci di allevamento che troviamo sui banchi delle pescherie, soprattutto ombrine, orate e branzini, in regione arrivano essenzialmente dalla Croazia (Cromaris e Royal Adriatic, le aziende leader), da Grado e, per quanto riguarda i molluschi, dagli impianti di allevamento delle cozze di Nuova Laudamar prospicienti Miramare. Nella Laguna di Marano e Grado si pratica da secoli la vallicoltura, con il richiamo stagionale di giovani esemplari e il loro accrescimento in condizioni naturali. La produzione è indirizzata principalmente a orate, branzini e alcune specie di cefali.
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