«Quei 17 morti ci sono ma la fossa non esiste»
PREMARIACCO. Il documento dell’anagrafe di Premariacco che parla di 17 cadaveri sepolti e riesumati a Rocca Bernarda nel ’46 «ha una sua legittimità, in quanto riporta la firma del sindaco e del segretario comunale. Ed è l’unica carta, finora, che ha un certo riscontro, tra tutte quelle che sono spuntate finora. Ma continuare a parlare di foiba è davvero fuori luogo».
L’Anpi, insomma, “resiste”, etichettando la fossa comune di Rosazzo come «improbabile» e «itinerante», perchè «prima si parla di Manzano, poi di Dolegna e ora anche di Scriò».
Ne è convinto Dino Spanghero, presidente provinciale dell’associazione nazionale dei partigiani, durante la relazione al 19° congresso svoltosi all’Enaip di Pasian di Prato. Lo fa attaccando ancora il documento della Farnesina, quello che ha scatenato il grande polverone.
«La scoperta di un incartamento, indubbiamente autentico nella forma – dice Spanghero –, non costituisce forma storica se non trova riscontro nella realtà e se non è suffragato da altre fonti storiche probanti; altrimenti è un foglio di carta, un’informativa inutile e faziosa, aria fritta. Anzi, a me pare che i due documenti, quello di Premariacco e quello del Ministero degli Esteri, non coincidano, ma addirittura si contraddicano in maniera macroscopica. In quello comunale si parla di gente morta nel ’44, in quello della Farnesina si accenna a una fossa comune un anno dopo».
E a rincarare la dose ci pensa anche il presidente regionale Elvio Ruffino che rimarca, secondo la sua tesi suffragata da dati storici, le incongruenze presenti nell’informativa del Ministero. «Si parla della divisione “Garibaldi - Natisone” come responsabile del presunto massacro. Ma il nucleo dei partigiani era a liberare Lubiana nel dicembre del ’44. Come possono essere stati loro i responsabili degli eccidi?».
Lo stesso Rufino non sembra per nulla sorpreso della notizia dei 17 cadaveri seppelliti a Rocca Bernarda rinvenuto nel registro dei morti a Premariacco. «Si sa che in quell’area – spiega – furono in molti a morire. Siamo in tempi di guerra. Siamo anche sul confine orientale, teatro di cruenti scontri. Ma non stiamo parlando di 800 persone. Non stiamo parlando di una fossa comune. E non si accenna nemmeno a una strage compiuta da partigiani, come qualcuno vuole far credere».
E l’Anpi rimanda, per fugare ogni tipo di dubbio, ai propri archivi. «Sono a disposizione delle forze dell’ordine – avvisa Spanghero –. Sono già state avvertite». «Basta controllare – fa sapere Ruffino – il volume dell’istituto friulano per la storia del movimento di liberazione pubblicato già nell’85. Contiene tutti morti, comune per comune, la data, l’ora, il motivo e il luogo di sepoltura. Insomma basta recarsi lì per controllare. Non abbiamo nulla da nascondere».
«Non abbiamo bisogno di lezione di civiltà e di correttezza storica – conclude Spanghero –. Abbiamo anche soppesato, di concerto con gli eredi di Vanni e Sasso, chiamati in causa quali autori del presunto massacro, la possibilità di tutelare l’onore dei partigiani dando mandato ad uno studio legale di Udine di seguire l’iter delle indagini giudiziarie e di valutare l’esistenza di elementi tali da consentire la denuncia o la querela».
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