Tragico confine orientale: una storia oltre la retorica
UDINE. Una vicenda che si è cominciato a indagare da poco, quella delle traversie affrontate dalla Slovenia nel ’900. Sconfitta come componente fedele dell’Austria-Ungheria, e poi sospetta, nel regime monarchico come in quello comunista, causa la diffusa aspirazione all’indipendenza, piccolo Paese attorniato da potenze nazionaliste ed espansioniste, si è trovata a essere il punto di scarico di contrapposizioni statuali, ideologiche, etniche ed economiche.
Conseguentemente il racconto storiografico ha sofferto di radicalizzazioni e strumentalizzazioni di segno diverso, e i tentativi di impostare ricerche equilibrate si sono sempre scontrati con i dolori, i rancori, gli opportunismi politici.
In Italia, la storia della Slovenia è pressoché ignorata, specie relativamente al periodo in cui le due realtà sono state più a contatto, quello del secondo conflitto mondiale. Esce, per colmare questa carenza e per aprire un nuovo campo di ricerca, La Slovenia durante la seconda guerra mondiale, opera a tre mani di Zdenko Cepic, Damijan Guštin e Nevenka Troha.
Il volume, che verrà presentato a Udine domani alle 17, alla Fondazione Crup, è uscito per i tipi dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione Friulano, il cui direttore, Alberto Buvoli, ne parla, in questa intervista.
– Un lavoro originale, e finalmente non ideologico. La cui idea come è nata?
«Nel ’92, consapevole del fatto che tra Slovenia e Italia c'era stata e c'è una storia comune determinata nel Novecento dagli esiti della prima guerra mondiale, dalla politica espressa dal fascismo, dalla seconda guerra mondiale e dalla creazione della Provincia italiana di Lubiana, e che da noi soprattutto di quest'ultimo periodo si conosceva assai poco, l’Istituto provò a colmare questa lacuna iniziando dall’occupazione italiana in Slovenia. Ed era uscito La Provincia italiana di Lubiana. Documenti 1941-42, opera dello storico Tone Ferenc, il quale avrebbe in seguito dovuto curare anche una ricerca sulla Resistenza slovena. La sua scomparsa ci ha spinto poi ad affidarla a tre studiosi sloveni. Il libro affronta gli anni drammatici dalla primavera del ’41, quando Italia, Germania e Ungheria aggrediscono e smembrano il regno di Jugoslavia, sino al maggio del ’45, con la liberazione, senza tacere della scia di violenze che la accompagnano e la seguono. Vuole raccontare fatti e problematiche che hanno coinvolto italiani e sloveni, ma attraverso gli occhi e la sensibilità di questi ultimi. Il tutto in un quadro di grande rigore, e con un linguaggio misuratissimo, che rifiuta le tesi precostituite delle storiografie di parte o fortemente ideologizzate. Oltre che a fornire una grandissima quantità di informazioni, spero che potrà aiutare a capire situazioni e accadimenti estremamente complessi e sinora o sconosciuti o mal compresi».
– C’è qualche acquisizione nuova?
«Direi la capacità di parlare senza ipocrisie e mascheramenti del collaborazionismo, delle coscrizioni coatte, delle diserzioni, del redde rationem finale. All’inizio i partigiani erano la metà delle forze inquadrate al fianco degli occupatori. E, anche per l’azione delle gerarchia cattolica, non mancarono nella popolazione sentimenti antipartigiani, in quanto anticomunisti. Nella Slavia Veneta c’era diffidenza verso i partigiani, a fine ’43 Vilfan, in una relazione, dice che la popolazione “aspettava con impazienza, che si consolidasse di nuovo il potere italiano”. Del resto un vecchio friulano, componente della Garibaldi, mi raccontava che quando, in Slovenia, andava a chiedere qualcosa da mangiare nelle case, dal retro schizzava sempre via un ragazzino che andava ad avvisare la belagarda».
– Un dato sconosciuto ai più, credo, è la trattativa tra i cetnici e il prefetto di Trieste.
«Siamo però alla fase finale della guerra. I cetnici si offrirono di difendere la città dall’avanzata delle forze partigiane del IX Korpus e della IV Armata. Nel libro c'è solo un breve cenno alla posizione di queste truppe “panserbe” e al fatto che il prefetto Coceani rifiutò queste profferte. Maggiore spazio è dedicato ai domobranci, alla polizia slovena, e a quella che gli autori definiscono una vera e propria “guerra civile”. Sono messi nella giusta evidenza i progetti non solo politici della Resistenza, ma anche statali in vista della creazione di una Grande Slovenia».
– Si cercò di occupare anche il Friuli. C’era il progetto di far trovare gli italiani di fronte al fatto compiuto, citato sempre da Kardelj, e del «ciò che sarà conquistato rimarrà nostro».
Il 30 settembre del ’44 Kardelj rappresentò in una lettera a Tito la necessità di occupare il Friuli per assicurarsi le sue risorse agricole, prevedendo per la Slovenia una situazione alimentare critica. In quel momento, quando era diffusa la speranza che le truppe angloamericane avrebbero liberato da lì a poco tutta l'Italia settentrionale arrivando alle Alpi, la pressione slovena si fece più intensa, probabilmente per precostituirsi anche una posizione di maggior forza a sostegno delle rivendicazioni territoriali avanzate. Ma alla politica jugoslava mancò in questa occasione il consenso angloamericano».
– Colpisce la grande organizzazione delle zone libere controllate dall’ Osvobodilna Fronta . È qualcosa di analogo alla Repubblica della Carnia?
«In effetti ci sono somiglianze con la parte liberata della Carnia e dell’Alto Friuli, anche se da noi su scala molto più ridotta. Questo per alcuni aspetti, quali l’importanza attribuita alle scuole e alla cultura – uno dei motti della Resistenza slovena, era “La cultura e l’istruzione saranno la nostra vendetta” – e poi l'organizzazione sanitaria, il servizio di stampa e propaganda con le tipografie clandestine. Per altri, invece, in Carnia alcuni decreti del Governo non trovano riscontro nella realtà delle zone libere slovene, come la gratuità dell'amministrazione della giustizia, l'abolizione della pena di morte, la tassazione progressiva sui patrimoni, le libere elezioni comunali».
– Il libro si chiude con il ’45. Ma nel Tlt il clima di guerra prosegue...
«In effetti sino al ’54 ci sono ancora fortissime tensioni a Trieste ma anche in tutta la fascia confinaria, con le armi distribuite al popolo nella zona B da una parte e dall'altra con le organizzazioni segrete quali 3° CVL, O, poi Gladio, fino ai bersaglieri schierati dal Governo Pella sulle alture di Monfalcone. Inoltre, nel ’48, si determina lo strappo tra Jugoslavia e Unione Sovietica, che ha violente ripercussioni in Jugoslavia e nella politica italiana. È un periodo, questo, più conosciuto e oggetto in Italia anche di pregevoli lavori e di estremo interesse, ma che sicuramente meriterebbe di essere affrontato e forse maggiormente approfondito. Ci penseremo».
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