Il giro delle Tre Venezie/8 Sul Pasubio intriso di sangue

Tra i fantasmi di quello che fu un inferno in terra e oggi è un aereo paradiso per escursionisti

Le opere militari austriache che dominano l’altopiano di Lavarone e l’antico confine fra Trentino e Regno d’Italia, si preparano silenziosamente al centenario del primo conflitto mondiale, quando ospitavano guarnigioni, pezzi di artiglieria e mitragliatrici.

Ce li lasciamo alle spalle, noi Psicoatleti, con la sensazione che, se pure l’Europa sembra essersi mondata dalla feroce follia della guerra, ancora non abbia fatto del tutto i conti con la propria storia, fatta di nazioni grandi e piccole, di comunità di confine poco propense ai massimalismi, e di identità multiple.

La gente dei Sette Comuni è abituata a vivere in uno dei luoghi più freddi dell’intero arco alpino, ma la loro contrada è una di quelle dove, eccettuate le settimane del turismo di massa, si percepisce meglio il rapporto ancestrale fra una comunità e la propria terra.

Terra che i Cimbri di Asiago hanno nei secoli colonizzato, perduto – con gli allontanamenti coatti della Grande Guerra – e infine ritrovato. Se qualche amico non fosse dello stesso avviso, consigliate anche a lui la lettura in loco dell’Arboreto salvatico di Rigoni Stern e, magari, una bella passeggiata lungo i 4.444 gradini della Calà del Sasso, via privilegiata per la discesa del legname verso il Brenta e gli arsenali della Serenissima.

Scendiamo dall’altopiano lungo la strada della vecchia ferrovia, per giungere a Cogollo del Cengio e, da lì, prendere il “Sentiero alto” che conduce ad Arsiero: dai tempi in cui Hemingway ne scrisse in versi, il borgo ha perso duemila abitanti su cinquemila.

A Posina, che dista tre ore a piedi, prima della Grande Guerra vivevano in tremilacinquecento, e un secolo dopo il paese non arriva a contare seicento anime. Siamo alle porte del Pasubio, inferno in terra nel ’17-’18 e oggi aereo paradiso per alpinisti, escursionisti e appassionati di mountain bike.

Presso Bocchetta Campiglia, un portale di gusto moderno introduce alla Strada delle 52 gallerie, una stupefacente opera d’ingegneria bellica che vince oltre 700 metri di dislivello correndo lungo le cenge della montagna e nel suo stesso ventre.

Creato per garantire gli approvvigionamenti alle truppe arroccate in quota, l’itinerario è oggi un’attrazione turistica capace di richiamare moltitudini d’escursionisti, e forse meriterebbe miglior valorizzazione; s’incontra meno gente dopo il rifugio Papa: l’insegna “Di qui non si passa”, il piccolo cimitero di guerra all’ombra dell’arco romano, la Selletta Comando e le trincee avanzate italiane sono il preludio all’ingresso nella silenziosa “terra di nessuno”.

Ogni zolla sul Pasubio è intrisa di sangue giovane, ogni pietra ha raccolto il soffio di una preghiera, ed è come se quei poveri fantasmi ci invitassero a indugiare quassù, sull’erba brillante ancora memore dell’ultima neve, per tenere loro un po’ di compagnia; noi vivi, però, dobbiamo andare avanti, ed è insieme un sollievo e una condanna, scorgere in fondo alla pista la costruzione del rifugio Lancia.

Non faremo più sogni in alta quota, da qui in avanti, ma ci governerà la necessità concreta di immergerci daccapo . nella civiltà, per farci strada verso la meta finale di Riva del Garda: in mezza giornata siamo a Rovereto, sede del Mart e del Museo della Guerra, rampa di lancio delle suggestioni futuriste di Depero e campo-base per tanti che, come noi, abbinano il turismo alla mobilità dolce, viaggiando a piedi o in bicicletta. La sera si va a letto presto, ché la sveglia è fissata alle quattro.

Si parte prima dell’alba per seguire la pista ciclopedonale che conduce a Mori, Loppio e al Passo di San Giovanni, da cui nel 1439 la Serenissima fece transitare una flotta composta da una trentina fra “barche grosse”, galee e fregate, inviata a combattere i milanesi sulle acque del Benaco. Uscendo alle prime luci dall’abitato di Nago per scendere a Torbole, appare finalmente anche a noi il primo lembo di lago racchiuso fra pareti maestose.

Fa impressione pensare che anche il nostro viaggio è cominciato dalla laguna per arrivare qui, al limite meridionale del Trentino e della vecchia Austria. Sono una torma, i turisti d’Oltralpe e quelli nostrani convenuti in questa domenica d’estate, e troviamo la nostra pace disarcionando gli zaini in mezzo a loro, sull’erba verde di Riva, a due passi dall’acqua che ci rianimerà e, accogliendoci nel suo abbraccio, troverà le parole per spiegarci che il viaggio è davvero finito. (8. Fine)

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