Nelle terre dei fedeli sudditi asburgici
La Val d’Ega, Eggental in tedesco, si protende dalle vicinanze di Bolzano verso il Passo di Costalunga e la Val di Fassa. Noi, Psicoatleti in marcia sulle tracce della Grande Guerra nel Triveneto, l’abbandoniamo in quel di Ponte Nova, pochi chilometri a valle del lago di Carezza, per risalire verso Passo Lavazè. Questo tempio invernale dei fondisti è anche il primo lembo di Trentino lungo la nostra strada, e dopo tanti Grüss Gott, i primi contadini che incontriamo al lavoro nei campi rispondono «salve» al nostro saluto. Siamo entrati nel territorio della Magnifica Comunità di Fiemme, che amministra da nove secoli i beni comuni dei valligiani (i “vicini”) a partire dalle risorse boschive e dai pascoli. Qui si sono succeduti come protettori i vescovi-principi di Trento e gli Asburgo: la bandiera della Comunità fiemmese, che riprende i colori del Tirolo e quelli della milizia degli Schützen, venne conferita dall’arciduca d’Austria, fratello di Francesco Giuseppe, e, dopo decenni di malinteso pudore storico, è stata di recente ripristinata nell’uso. Ogni simbolo ricorda che qui cento anni fa vivevano sudditi fedeli dell’impero austro-ungarico, «di lingua italiana e cultura tirolese».
La propaganda del Ventennio impose di raccontare che i trentini d’inizio Novecento sarebbero stati tutti irredentisti, smaniosi di vivere sotto il tricolore, ma la realtà è più complessa delle veline di regime: cosa avranno pensato gli Standschützen e i Kaiserjaeger di Cavalese che si batterono in nome di Cecco Beppe nel veder indossare ai propri figli prima le uniformi da balilla, e poi il grigioverde del Regio Esercito Italiano?
Per il futuro si guarda a prospettive internazionali con grande risalto alla cooperazione fra Trento, Bolzano e Innsbruck (è già realtà l’Euregio che ricalca i vecchi confini tirolesi), ma percorrendo la Val di Cembra è difficile trovare un locandiere o un gestore di tavola calda che non si lamenti della crisi, per poi recriminare che gli altoatesini se la passano meglio. A sentire il baffuto Luca, opinionista al Bar del Negro, i “tedeschi” sarebbero di gran lunga più tutelati, incoraggiati da normative favorevoli e incentivi a ristrutturare di continuo le proprietà immobiliari, così che anche i contadini, lassù, si sono fatti una spa nel maso di famiglia. «Così attirano il turismo» ammette, amareggiato. «Sicuramente, meglio di noi in Val di Cembra» sospira, bilanciando l’ennesima birra di giornata, e lascia andare una sonora bestemmia.
Benché appiedati, ci prestiamo a seguire un tratto d’Ippovia del Trentino orientale verso Pergine Valsugana, dove facciamo merenda in un bar interamente decorato da manifesti dell’Associazione Nazionale Alpini e volantini della Sat, la gloriosa sezione autonoma tridentina del Club Alpino Italiano. Un paio d’ore più tardi siamo a Levico Terme, di nuovo sprofondati fra le memorie asburgiche del Welschtirol: al di là di ogni considerazione storico-politica, Sissi imperatrice triste e il mito della Mitteleuropa fanno ancora un ottimo “marketing del territorio”.
Sembrano distare anni luce, e non una manciata di chilometri, i dibattiti evoluti. sulla crisi della socialdemocrazia e sulle nuove tecnologie degli studenti di Trento. Parecchi fra loro sono escursionisti allenati che, quando marinano i corsi, salgono volentieri a piedi al Rifugio Maranza, ottocento metri abbondanti più in alto di Piazza Duomo. Vanno lassù a fare due chiacchiere, come i loro colleghi di altri atenei si spingono al bar sottocasa, e in primavera, rientrati in città a pomeriggio inoltrato, hanno ancora abbastanza energia per una proiezione del Trento Film Festival – 121 le pellicole presentate quest’anno – o un incontro con gli autori italiani ed esteri che intervengono alla rassegna MontagnaLibri che attira grandi folle in piazza Fiera. La cultura e la vita all’aria aperta sono nel Dna di questa città orgogliosa del proprio passato, e di ospitare narratori e registi in grado di fornire punti di vista nuovi sulla montagna: quest’anno ci sono passati anche il ticinese Mario Casella e la vecchia gloria britannica Tony Howard: i loro libri Nero-bianco-nero e La montagna dei folletti si sono aggiudicati il Premio Itas per la narrativa di montagna, e sono già letture di culto fra gli studenti-montanari della città del Concilio. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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